Il grande gioco della storia sta in chi s’impadronirà delle regole


1.Echi illuministici

«Sapere aude. Abbi il coraggio, l’audacia di usare il tuo proprio intelletto».

Immanuel Kant esortava così gli uomini a reagire e a lottare nei confronti della propria dimensione limitata e lo faceva nel 1784 in risposta alla domanda, posta dal giornale tedesco Berlinische Monatsschrift, Was ist Aufklärung?

L’Illuminismo è per Kant l’uscita dell’uomo dallo stato di minorità in cui si trova, dove per minorità egli intende la consapevole accettazione di subire l’autorità altrui. L’uomo, naturalmente fornito d’intelletto, non può e non deve accettare che qualcuno o qualcosa possa pensare e decidere per lui, egli ha non solo il diritto, ma il dovere di usare la ragione. Kant indica nel testo tre momenti in cui ci si ritrova in stato di minorità, essi sono: quando un libro ragiona per noi, quando un direttore spirituale ci fa da coscienza e quando un medico decide la nostra dieta .

In più di un’intervista Michel Foucault fa riferimento esplicito a queste dichiarazioni kantiane circa il dovere dell’uomo di liberarsi da coercizioni esterne facendo un uso libero e consapevole della propria capacità intellettiva e il motto sapere aude accompagnerà il lavoro che egli svolge di analisi ontologica del presente e caratterizzerà il suo atteggiamento, laddove lo scopo principale foucaultiano sembra essere capire il presente, restando fino in fondo consapevoli delle forze che inevitabilmente fanno presa sull’uomo.

La consapevolezza, il vivere concretamente il proprio presente senza perdersi in utopiche costruzioni mentali e l’impegno a modificare l’atteggiamento umano piuttosto che il mondo, porterebbero l’uomo ad essere soggetto e non oggetto del proprio tempo:

[…] sappiamo, per esperienza, che la pretesa di sottrarsi al sistema dell’attualità per formare dei progetti d’insieme di un’altra società, di un altro modo di pensare, di un’altra cultura, di un’altra visione del mondo non hanno fatto altro che rinnovare delle tradizioni molto pericolose. […]Non so se raggiungeremo mai la maggiore età. Molte cose, nella nostra esperienza, creano in noi la convinzione che l'evento storico della Aufklärung non ci abbia reso maggiorenni; e che non lo siamo ancora. Mi sembra, tuttavia, che possiamo dare un senso all'interrogazione critica sul presente e su noi stessi che Kant ha formulato nella sua riflessione sulla Aufklärung. Mi sembra che sia proprio un modo di filosofare che, da due secoli a questa parte, non è stato senza importanza, né senza efficacia. Di certo, non bisogna considerare l'ontologia critica di noi stessi come una teoria o una dottrina, e nemmeno come un corpo permanente di sapere che si accumula; bisogna concepirla come un atteggiamento, un έθος, una vita filosofica in cui la critica di quello che siamo è, al tempo stesso, analisi storica dei limiti che ci vengono posti e prova del loro superamento possibile 1 .


Il tentativo di sottrarsi ad un sistema può rivelarsi pericoloso e infruttuoso, perché probabilmente darebbe luogo alla spontanea creazione di progetti ideali che eludono il presente precludendo la possibilità di una presa di coscienza del soggetto davanti allo stato delle cose. Al contrario, la critica di ciò che siamo e del mondo che ci circonda, consente la possibilità di attuare il cambiamento nella messa a fuoco di limiti che vanno identificati e superati.


Il metodo genealogico, adottato da Foucault ed ereditato da Nietzsche, prevede che il punto di vista di colui che osserva i fatti non sia più storico, retrospettivo, ma che al contrario debba essere nel presente, e a tal proposito lo stesso Foucault afferma che:

il ricercatore non è lo spettatore distaccato che osserva […] ma che è implicato nelle pratiche sociali che prende in esame e delle quali si sente in larga misura prodotto2.


Dunque consapevolezza di ciò che accade nel proprio tempo e del perché accade, e conseguente opportunità di rovesciare sempre i ruoli all’interno dei giochi di potere che Foucault individua ovunque e che bisogna stanare. L’atteggiamento che egli propone è lo stesso che in fin dei conti caratterizzava Nietzsche: sentirsi inattuale, sentire, dopo aver riconosciuto meccanismi mendaci onnipervasivi, di non essere al passo col proprio tempo, di porsi rispetto ad esso in una posizione critica, di lotta o come direbbe Foucault, di resistenza, restando quindi ancora nella scia di un sapere aude kantiano.

Nel testo Nietzsche e Foucault, corporeità e potere in una critica radicale della modernità, Stefano Berni descrive l’atteggiamento foucaultiano:

Lotta contro le imposizioni sociali e lotta anche contro se stessi. Se il potere del presente ridescrive e reinventa una delle tante storie possibili cancellandone alcune e selezionandone altre attraverso un oscuro lavoro di legittimazione (in cui dimenticanza e oblio intervengono a cancellare le tracce di passati scomodi); se il potere interviene analogamente per legittimare un'unità, un'identità, un io, o, al contrario, per escludere ed emarginare; allora la lezione di Foucault si insedia proprio in questo punto. Avere il coraggio di rifiutare il presente, di criticarlo, denunciando le sue pretese autoritarie, onnipotenti, oggettive. Avere il coraggio di criticare anche se stessi in quanto eredi e frutto di una tradizione che si arroga il diritto di essere nel giusto, per il fatto stesso di sopravvivere3.


C'è il riconoscimento di un nemico: il presente come risultato di un passato che può essere indagato solo fino a un certo punto. Il grande limite della lotta alla tradizione sta nel non poter disporre del flusso del tempo e nel non essere in grado di arrivare fin dove si trova la sorgente dell'errore. Irrintracciabile e lontano è il momento in cui qualcosa fu legittimato a scapito di qualcos'altro che fu cancellato per sempre.

L'analisi si svolge tutta nel momento presente e la critica e la denuncia vanno rivolte a quelle congiunture storiche che testimoniano il cambiamento avvenuto. Il metodo è adesso genealogico, e non più archeologico come agli inizi, in quanto si è fatta strada l'idea di una complessità storica non più riducibile a strati sovrapposti di eventi e testimonianze da ritrovare e tirare fuori dalla polvere accumulatasi nel tempo. L'abbandono del metodo archeologico è decisivo nel lavoro di Foucault e gli dà l'occasione di dichiarare nel saggio Nietzsche, la généalogie, l’histoire, il debito metodologico che ha nei confronti del filosofo tedesco. Il cambio di rotta è volutamente sottolineato dalla scelta dei titoli dei suoi lavori che, appunto, si allontanano da una visione archeologica della storia. Infatti, se negli anni sessanta pubblica ben tre Lavori aventi nel titolo la parola archeologia, (La nascita della clinica. Un'archeologia dello sguardo medico, Le parole e le cose. Un'archeologia delle scienze umane e L'archeologia del sapere) nelle pubblicazioni successive i titoli scelti conterranno la parola genalogia.






2. Non esiste sguardo dell'uomo che non sia umano: il prospettivismo storico

Da un ipotetico dialogo tra Nietzsche e Foucault scaturirebbe una quantità di materiale oltremodo interessante per chiunque nutra una forte passione per la storia. Di sicuro è proprio questo il punto che più di ogni altro costituisce il nesso tra i due filosofi, la passione per la storia, o meglio come direbbero entrambi, la passione per il senso storico, per la scoperta, per la sorpresa, la devozione di chi «lavora su pergamene ingarbugliate, raschiate, più volte riscritte»4, la meticolosità di chi non si accontenta del risultato grossolano raggiunto da altri percorrendo chissà quali vie e decide così di riscoprire la storia di una legge, di un sentimento, di una religione o della morale.

Nel saggio ora citato, Nietzsche, la généalogie, l’histoire, Foucault descrive e condivide il metodo di ricerca del filosofo tedesco riguardo alla realtà storica di un evento, attuato mediante l’esame quasi maniacale di ogni singolo dettaglio in grado di fornire ulteriori elementi di conoscenza in merito.

La genealogia è «grigia, meticolosa, pazientemente documentaria»5, ovvero è la repulsione per tutto ciò che è superficiale e sommario, per tutto ciò che ha la pretesa di essere oggettivo e universale, ed è la ricerca dell’unicità di un momento, di infiniti momenti che si scontrano e che, come un big-bang sempre in atto, danno vita a qualcosa di unico, irripetibile, fatto d’innumerevoli entità diverse e spesso non individuabili.

Contrariamente a quello che da sempre era l’atteggiamento più diffuso nei confronti della storia, Nietzsche descrive un approccio nuovo in opposizione a tutte le norme rispettate dagli storici suoi contemporanei. Se per i filologi e gli storici del XIX secolo che s’impegnavano a risalire il fiume, l’obbiettivo era ritrovare la sorgente, l’essenza, egli piuttosto era alla ricerca di tutto quanto interagiva col corso del fiume degli eventi, alterandoli, rovesciandoli, opponendoli alle cause che li avevano dati alla luce, e riguardo a ciò Foucault scrive nel testo sopra citato:


[…] la storia ha di meglio da fare che essere la serva della filosofia e raccontare la nascita necessaria della verità e del valore; deve essere la conoscenza differenziale delle energie e dei cedimenti, delle sommità e dei crolli, dei veleni e degli antidoti. […] Gli storici cercano nella misura del possibile di eliminare ciò che può tradire, nel loro sapere, il luogo da dove guardano, il momento in cui sono, il partito che prendono, l'indicibile della loro passione. Il senso storico, come Nietzsche l'intende, sa di essere prospettiva, e non rifiuta il sistema della propria ingiustizia. Guarda sotto un certo angolo, e col deliberato proposito di apprezzare, di dire sì o no, di seguire tutte le tracce del veleno, di trovare il migliore antidoto. Piuttosto che fingere di mettersi discretamente in ombra dinanzi a quel che guarda, piuttosto che cercarvi la legge e sottometterle ognuno dei suoi movimenti, questo sguardo sa da dove guarda e cosa guarda. Il senso storico dà al sapere la possibilità di fare, nel movimento stesso della sua conoscenza, la propria genealogia6.


Il lavoro di Foucault sembra essere la spiegazione razionale di tutto quanto in Nietzsche accadeva spontaneamente e istintivamente, dal suo approccio alla storia a ciò che pensava degli storici del suo tempo e dei metafisici, fino all’enunciazione dei tre postulati secondo cui il senso storico agisce e che riassumo qui di seguito.

Primo postulato: mettere in atto una parodia della storia che abbia come fine quello di scardinare la comune tendenza a riconoscersi in essa screditando il presente; secondo postulato: avere un atteggiamento dissociativo con l’obiettivo di annientare il sentimento d’identità e di tradizione, riuscendo a guardare al passato come a «un sistema complesso d’elementi a loro volta molteplici, distinti e che nessun potere di sintesi domina»7, terzo ed ultimo: distruggere la storia come verità, come conoscenza oggettiva.

A tal proposito i dotti, quelli che cioè per Nietzsche si configuravano come ‘filologi’, e per Foucault come gli ‘archeologi’ precedenti, sostengono che di fronte alla verità storica bisogna necessariamente avere un atteggiamento oggettivo e imparziale cercando il più possibile di essere neutrali; in realtà questa pretesa va contro la natura umana che non può non essere coinvolta in tutto ciò che la riguardi direttamente. Se è vero che la storia è fatta di volontà contrapposte, di passioni, di sentimenti di parte, di vendette e di oltraggi, nulla può allora essere più disumano e fuorviante di questa pretesa.

Se la storia è un campo dove si sono scontrate forze e debolezze umane non si può - per Nietzsche come per Foucault – non esserne profondamente coinvolti. Non esiste sguardo dell’uomo che non sia umano, non esiste storia che non sia umana, non esistono fatti ma solo interpretazioni. L'ottica in cui Nietzsche vede la storia va rafforzandosi in ogni sua opera, dagli aforismi ai saggi filosofici, e trova una meticolosa descrizione dell'approccio umano ai fatti storici nella pubblicazione del 1874 Sull'utilità e il danno della storia.

Il prospettivismo storico, ovvero l'inevitabile coinvolgimento personale degli individui nell'interpretazione e valutazione del passato, e a maggior ragione dei filologi e degli storici, porta alla conclusione che sia impossibile raggiungere un punto di vista sovrastorico e impersonale e quindi oggettivo. Il passato è sempre relativo e questo conduce alla rinuncia di un possibile assolutismo gnoseologico, da qui la necessità per Nietzsche di una trasvalutazione di tutti i valori in quanto frutto di costruzioni abitrarie.

Per comprendere ciò che Nietzsche intende per senso storico non bisogna fare altro che opporlo allo storicismo in voga nel XIX secolo, cosa che egli stesso fa già a partire dalla stesura della seconda delle Considerazioni inattuali. Lo storicismo ha non solo la presunzione di possedere un punto di vista sovrastorico, senza tempo, ma ha anche la pretesa di cogliere un significato universale, un fine escatologico.

Lo storico ritiene di poter porre il suo sguardo al di fuori degli eventi e del mondo, egli ha la convinzione di cogliere un senso ultimo della storia, in realtà questo atteggiamento altro non è che una falsa convinzione di poter eludere i sentimenti individuali e contingenti. Al contrario il suo lavoro consiste nel tessere di propria mano una ragnatela atemporale in grado di connettere generazioni distanti tra loro secoli.

L’uomo ha l’esigenza innata di riconoscersi in coloro che lo hanno preceduto, ha bisogno di sapere che fa parte di un processo infinitamente più grande di lui, di un disegno che abbraccia l’umanità al di là dei limiti del tempo.

Agli occhi di Nietzsche tutto ciò appare troppo umano, perché avere la presunzione di essere protagonisti indiscussi del proprio tempo sino al punto da proiettare questo protagonismo anche in ciò che è stato, è tutt’altro che razionale e impersonale: si tratta piuttosto di raccontare storie le cui basi non poggiano altrove che in una metafisica della storia.

Finché l'anima della storiografia consiste nei grandi impulsi che un uomo potente ne trae, finché il passato deve essere descritto come degno d'imitazione, imitabile e per la seconda volta possibile, essa è in ogni caso in pericolo di essere alquanto falsata, abbellita nell'interpretzione e in tal modo avvicinata alla libera invenzione; anzi ci sono epoche che non sono affatto capaci di distinguere tra un passato monumentale e un invenzione mitica, perché da uno di questi mondi possono essere tratti esattamente gli stessi impulsi che dall'altro 8.

3.Il metodo genealogico come eredità nietzscheana e la wirkliche Historie

Rispetto a questa questione sulla necessaria oggettività verso la storia Foucault, sempre più consapevole di quanto l'umanità sia lontana dall'esortazione illuministica kantiana, descrive ciò che realmente accade prima della contaminazione dell'interpretazione, ovvero: la wirkliche Historie, la quale:

[...] non si fonda su nessuna costante: nulla nell’uomo – nemmeno il suo corpo – è abbastanza saldo per comprendere gli altri uomini e riconoscersi in essi. […] Bisogna fare a pezzi ciò che permetteva il gioco consolante dei riconoscimenti. Sapere, anche nell’ordine storico, non significa ritrovare, e ancor meno ritrovarci9.


D'altronde, a conferma di ciò, ci sono millenni di interpretazioni escatologiche della storia in cui gli uomini, dagli imperatori agli schiavi, dai popoli pagani a quelli cristiani, hanno sempre guardato al passato in funzione del presente, riconoscendo una sorta di regia, una volontà ultraterrena con i suoi scopi e i suoi disegni, sovente proiettati anche verso un fine millenario ovvero ultraterreno.

Soprattutto in passato, ogni evento che si verificava perdeva la sua specificità, la peculiarità che lo rendeva unico e andava ad inserirsi in un contesto sovrastorico dove la necessità regolava il tutto. Da Zeus al Dio cristiano, l’uomo ha sempre cercato nella storia un senso, una verità, un risultato, al contrario la storia effettiva, la wirkliche Historie, osserva Foucault:

[…] non si lascerà trascinare da nessuna sorda caparbietà, verso un fine millenario. Scaverà ciò su cui si ama farla riposare e si accanirà contro la sua pretesa continuità10.


L’ uomo che guarda al passato deve distaccarsi da quella tradizione che inserisce ogni singolo evento all’interno di una continuità ideale e riconoscerne l’irruzione, la sua origine, la sua provenienza. Foucault precisa come a tale scopo Nietzsche, all’interno dei suoi lavori, adoperi termini apparentemente sinonimi, ma che rivelano poi sfumature nette, e soprattutto necessarie. Tale puntuale esigenza nasce dal bisogno di delineare cosa significhi portare avanti una ricerca genealogica, una ricerca della:

[…] singolarità degli eventi al di fuori di ogni finalità monotona; spiarli dove meno li si aspetta e in ciò che passa per non avere storia – i sentimenti, l’amore, la coscienza, gl’istinti; cogliere il loro ritorno, non per tracciare la curva lenta d'un'evoluzione, ma per ritrovare le diverse scene dove hanno giocato ruoli diversi; definire anche l’istante della loro assenza, il momento in cui non hanno avuto luogo […]11.


Il che significa concepire la storia non come un percorso lineare, che abbia un inizio, uno svolgimento e una fine, e dunque abbandonare la convinzione di dover semplicemente ripercorrere gli eventi a ritroso fino alla loro miracolosa origine. Se invece fosse possibile cogliere l'attimo in cui una cosa cominciò ad essere, allora le chiavi del mistero dell’umanità sarebbero unicamente nelle mani della metafisica con le sue congetture sovraumane e tutt’altro che dimostrabili.

Bisogna invece ricercare, lungo quell’ipotetico percorso lineare, le interruzioni, le curve, gli scontri, le furbizie e le manovre egoistiche che hanno poi condizionato il corso degli eventi.

Ogni grande accadimento storico ha visto l’agire umano compiere i misfatti più riprovevoli: dietro le quinte di quelli che potevano sembrare, agli occhi dei più, avvenimenti provvidenziali, si celavano in realtà le più subdole motivazioni, occasioni colte al volo per il proprio interesse o semplicemente – e questa è l’ipotesi che più sta a cuore a Nietzsche, e attraverso di lui a Foucault – il caso.

La casualità, l’imprevisto, le mani d’acciaio della necessità che scuotono il bossolo dei casi12, questo fa la storia, questo si ritrova realmente se si guarda al passato con sguardo attento e con una predilezione maniacale per il particolare e per l’evento, liberandosi da quella convinzione così diffusa che vuole le cose originarie, e perciò vere.

Parlare di una Ursprung degli eventi, infatti, fa immediatamente pensare ad una dimensione originaria, in cui la cosa è essenzialmente se stessa prima ancora di essere contaminata dall’esterno da fattori che potrebbero averla alterata dandole sfumature che originariamente non le appartenevano.

Il genealogista, in questo contesto, corre un rischio piuttosto serio: deludere le aspettative dei più, e quindi di coloro che vogliono soltanto la risoluzione di un mistero in cui riconoscere se stessi e il proprio tempo; inevitabilmente però il suo lavoro lo conduce a demolire le credenze più comuni riguardo all’essenza ultima delle cose, quella che a detta di molti si ritroverebbe soltanto, e appunto, all’origine.

La verità, per Nietzsche, è che dietro le cose c’è ben altro rispetto a quello che ci saremmo aspettati, non un'essenza, non uno scopo, ma tanti strati e pezzi indipendenti l’uno dall’altro combinatisi a caso. Lo storico che voglia tracciare un disegno, più o meno attendibile, del succedersi dei fatti deve tenere ben presente la varietà di elementi che compaiono e scompaiono combinandosi in nuove sintesi come in una reazione chimica. Attraverso le parole di Foucault, Nietzsche mostra la sua teoria del senso storico riassimilando «nel divenire tutto ciò che si era creduto immortale nell’uomo»13.

Al fine di compiere un lavoro che abbia una valenza storica reale, bisogna innanzitutto che lo storico rinunci a tutta una serie di congetture ideali e metafisiche, come può essere la ricerca di una origine. Andare a ritroso fino a giungere nel luogo dove tutto ebbe inizio, significa credere che un inizio individuabile e databile esista davvero, e che l'evento di cui si tenta una rintracciabilità si trovasse a un dato momento proprio lì, intatto, puro e vergine, indipendentemente da tutto ciò che sarebbe accaduto nei tempi successivi alla sua emergenza.

La credulità dello storico che guarda ai fatti con tanto occhio ingenuo fa sì che egli non sia in grado di distinguere i saperi che si sono imposti sul corpo, i cambiamenti avvenuti e le singole volontà che hanno avuto un ruolo fondamentale nello svolgersi degli avvenimenti. Non bisogna credere, come la maggior parte delle persone, e dunque pure gli ‘storici’, tende invece a fare, che le cose siano all’origine, e ammesso pure che una ‘origine’ possa essere individuata, fedeli a se stesse e alla loro essenza come se:

[…] avessero conservato il loro senso, i desideri la loro direzione, le idee la loro logica; come se questo mondo di cose dette e volute non avesse conosciuto invasioni, lotte, rapine, simulazioni, astuzie14.


La genealogia, il metodo genealogico, conserva invece dentro di sé i presupposti per non ingannare e per non ingannarsi, essa allontana l’illusione di possedere la chiave di volta, quella che apra la porta che cela i misteri dell’ umanità, trovando infine un artefice, una causa e un fine.

Il metodo di ricerca genealogico non si pone l’obiettivo di ritrovare un’essenza perduta e di riscoprire una cosa, un avvenimento o un sentimento nella genuinità che gli era propria. A tale riguardo, nell'intento di non essere frainteso, Nietzsche delinea un uso minuzioso e specifico dei termini che in tedesco indicano l’origine, chiarendo fin da subito che la sua ricerca ha il carattere della sorpresa peché non volge lo sguardo indietro, non va a ritroso procedendo per riconoscimenti causali, essa piuttosto colpisce la superficie del suo oggetto scalfendo e rimuovendo gli strati che l’hanno costituita, fino ad accorgersi, infine, che il nucleo è vuoto. Procedere in tal senso significa insomma:

[…] non considerare avventizie tutte le peripezie che hanno potuto avere luogo, tutte le astuzie e tutte le simulazioni15,


e rendersi conto senza esitazioni che:

dietro le cose c’è tutt’altra cosa: non il loro segreto essenziale e senza data, ma il segreto che sono senza essenza, o che la loro essenza fu costruita pezzo per pezzo a partire da figure che le erano estranee16,


come eventi fortuiti, non volontà, assenze impreviste, interessi personali o errori senza precedenti finiti nel dimenticatoio – il che suggerisce di ricondurre ogni volta un evento alla sua semplicità e al suo essere fortuito. «La ragione? Ma è nata in modo del tutto ragionevole, - dal caso»17.

Torniamo alla differenzazione dei termini che indicano l'origine, la provenienza e l’emergenza, in Tedesco rispettivamente Ursprung, Herkunft, Entstehung.

Nella Prefazione alla Genealogia della morale Nietzsche ricorda che anche lui, all’età di tredici anni, mosso dalla curiosità e dal sospetto fu indotto a cercare l’origine, in particolare quella del male che non senza ingenuità imputò a Dio.

Ai tempi della Genealogia ciò che cerca è piuttosto la genesi dei valori morali:

[…] in quali condizioni l’uomo è andato inventando quei giudizi di valore: buono e cattivo? E quale valore hanno in se stessi?18


Non una essenza, dunque, non una origine bensì gli ingredienti e le modalità che li hanno fatti emergere, che possono renderne comprensibile la provenienza.

Il termine che in tedesco designa la provenienza è Herkunft, e designa prevalentemente la stirpe:

[…] la vecchia appartenenza ad un gruppo – quello del sangue, quello della tradizione, quello che si crea fra persone della stessa altezza o della stessa bassezza. […] Tuttavia non si tratta tanto di ritrovare in un individuo, un sentimento o un'idea, i caratteri generici che permettono di assimilarlo ad altri – e dire: questo è greco, o questo è inglese; ma di rintracciare tutti i segni sottili, singolari, sottoindividuali, che possono incrociarsi in lui e formare una rete difficile da sbrogliare. Lungi dall'essere una categoria della somiglianza, una tale origine permette di districare, per metterli da parte, tutti i segni diversi19 .


Con ciò, non bisogna ritenere che Herkunft significhi andare alla ricerca di un’identità, di un genere sotto il quale raccogliere più identità simili tra loro, al contrario, l’occhio meticoloso del genealogista riuscirà a trovare le innumerevoli differenze, discrepanze e peculiarità che, nella realtà storica, prendono il posto di un’Io che s'inventa un'identità e una coerenza, il che consente di sfatare anche il mito di un’anima universale e immortale. A questo proposito precisa Foucault:

La provenienza permette anche di ritrovare, sotto l’aspetto unico d’un carattere o d’un concetto, la proliferazione degli eventi attraverso i quali (grazie ai quali, contro i quali) si sono formati. La genealogia non pretende di risalire il tempo per ristabilire una grande continuità al di là della dispersione dell'oblio; il suo compito non è di mostrare che il passato è ancora lì, ben vivo nel presente, animandolo ancora in segreto, dopo aver imposto a tutte le traversie del percorso una forma disegnata sin dall'inizio20.


Scoprire la realtà attraverso la genealogia non deve cioè lasciare in alcun modo intendere che si tratti di ritrovare nel passato più remoto ciò che ancora oggi caratterizza il nostro presente, una sorta di codice, quasi fosse un codice genetico o DNA, come diremmo oggi, o magari una specie di lontano pro-genitore a capo di una infinita discendenza. Si tratta, invece, di rintracciare le discrepanze, di individuare gli errori di calcolo e le parziali o totali deviazioni che hanno dato luogo a quello che conosciamo oggi21.

Ogni evento, ogni realtà che oggi sembra essere autentica nel suo significato e di cui viene data per scontata l’essenza originale, anteriore a qualunque contaminazione esterna, a detta di Nietzsche è, al contrario, la risultante di numerose forze e resistenze accumulatesi per poi annientarsi a vicenda e produrre qualcosa di inaspettatamente nuovo.

Un esempio di questa teoria nietzscheana si ritrova, nella Genealogia, a proposito della depressione profonda combattuta però dalle grandi religioni unicamente sul piano psicologico-morale:

[…] un tale esempio d’inibizione può avere la più diversa origine: in quanto conseguenza, per esempio, di un incrocio di razze troppo estranee (oppure di classi – classi esprimono sempre anche differenze di origine e di razza: l’europeo dolore cosmico, il pessimismo del XIX secolo è essenzialmente il risultato di un’assurdamente improvvisa promiscuità di classi); oppure è dovuto a una errata emigrazione – una razza incappata in un clima per il quale non basta la sua forza di adattamento (è il caso degli Indiani d’India); oppure la ripercussione di una senescenza e di un’ estenuazione della razza (il pessimismo parigino a partire dal 1850); oppure di una dieta erronea (alcolismo del Medioevo) […]; o da una corruzione del sangue, malaria, sifilide e simili (la depressone tedesca dopo la guerra dei trent’ anni, che appestò mezza Germania di brutte malattie e preparò in tal modo il terreno per il servilismo tedesco, per la tedesca codardia)22.


La provenienza non garantisce il risultato sperato e quasi mai conferma ciò che ci si aspettava, piuttosto essa sorprende e inquieta colui che, proprio come alla maniera dei dotti, interpreta la storia come un insieme di carte e registri accumulati su di una scrivania.

Ripercorrere all’indietro la storia sforzandosi solo di ricalcare le impronte lasciate sul terreno di certo non sembra essere un lavoro gratificante, né indispensabile ai fini pratici; uscire fuori pista rischiando di perdersi e ricominciare da capo con più enfasi, con più accanimento soddisfacendo una curiosità che di fatto è inestinguibile, sembrerebbe avvicinarsi di più al senso storico di Nietzsche.

Il genealogista è una sorta di chirurgo che trascorre il suo tempo studiando minuziosamente i corpi, egli «deve mostrare il corpo tutto impresso di storia, e la storia che devasta il corpo»23 con le sue incisioni, le inversioni, gli sbalzi improvvisi, gli scavi e le asportazioni fatte un tempo per nascondere chissà cosa.

La provenienza, la Herkunft, rivela dunque i segni rimasti sul corpo della storia e dell’uomo, la loro qualità e la loro intensità, successivamente c’è da scoprire e comprendere le forze che hanno agito su di esso, il campo in cui si sono incontrate per sfidarsi.

Per definire questo lavoro successivo Nietzsche utilizza il termine Entstehung, ossia l’emergenza. Chiunque abbia con la storia un approccio metafisico tende a vedere nelle cose una finalità insita in esse fin dalla loro genesi, come un destino, come una destinazione programmata da sempre. In realtà quanto più si desideri essere aderenti alla verità tanto più si deve dimostrare che:

[…] questi fini, apparentemente ultimi, non sono nulla di più che l’ episodio attuale d’una serie di asservimenti: l’occhio fu dapprima asservito alla caccia e alla guerra; la punizione fu volta per volta sottomessa al bisogno di vendicarsi, di escludere l’aggressore, di liberarsi nei confronti della vittima, di spaventare gli altri. Ponendo il presente all’origine, la metafisica fa credere al lavoro oscuro d’una destinazione che cercherebbe di farsi strada sin dal primo momento24.


Michel Foucault paragona l’emergenza ad un insieme di forze che interagiscono, sviluppandosi in un sistema di alleanze e opposizioni come reazioni alle circostanze avverse, o come un tentativo di sfuggire alla degenerazione e riprendendo forza e vigore a partire dal loro stesso indebolimento25, come avvenne nel caso della Riforma protestante o della vita ascetica.

Sono, questi, due esempi di lotte intestine portate avanti da forze che fino ad un certo momento hanno agito nella stessa direzione e tutt’a un tratto l’una è divenuta la resistenza dell’altra, frenandola, inibendola, deviandola, col fine di migliorarsi divorando ciò che ormai appariva marcio, come fossero anticorpi nel tentativo di debellare un’infezione.

Si può, dunque, sostenere che a volte una forza si accanisce contro se stessa proprio quando sente di essersi affievolita, e nel cercare di riprendere vigore attacca e demolisce tutto quanto sia già sulla strada della degenerazione.

In effetti, nel momento in cui questa forza giunge alla consapevolezza di trovarsi ad un punto di non ritorno, piuttosto che collassare è portata a rinnovarsi ripudiando ciò che poco prima sembrava esserne il perno principale. Così, nel caso della Riforma, il sentimento morale, che in una parte della Chiesa cattolica lottava per rimanere intatto e credibile, cominciò ad accanirsi contro la corruzione e l’immoralità dei più, generando quindi dalla propria agonia un’identità migliore: attraverso un’ideale autoflaggellazione la Chiesa ha potuto purificarsi.

Lo stesso fenomeno si verifica nel caso dell’ideale ascetico, che apparentemente sembra essere la negazione della vita, ma che nella prospettiva di Nietzsche si palesa come il contrario:

L’ideale ascetico scaturisce dall’istinto di protezione e di salute di una vita degenerante, che cerca con tutti i mezzi di conservarsi e lotta per la sua esistenza; esso indica una particolare inibizione ed estenuazione fisiologica, contro la quale combattono incessantemente, con nuovi mezzi invenzioni, i più profondi istinti vitali rimasti intatti. L'ideale ascetico è un siffatto mezzo: le cose si presentano, dunque, precisamente all'opposto di quel che pensano i veneratori di questo ideale, la vita lotta in esso e attraverso di esso con la morte e contro la morte, l’ideale ascetico è uno stratagemma nella conservazione della vita26.


Si presenta, a queso punto, un’evidente autocontraddizione: l'ideale ascetico è, sì, vita, ma è una vita contro la vita.

Possiamo a questo punto asserire che l’emergenza è l’irrompere delle forze sul campo di battaglia: essa non designa un individuo o una cosa in particolare contro cui accanirsi, il suo agire è piuttosto la risultante di un gioco in cui nessuno è vinto e nessuno è vincitore, di un incontro/scontro dal quale nasce qualcosa di cui nessuno può prendersi il merito. Protagonista indiscussa di questa perenne lotta di forze opposte per la sopravvivenza è la dominazione.

E' però un gioco, quello della dominazione, che sopravvive grazie al rilancio; ovvero, risulterebbe inutile e vano aspettarsi che lo stato di lotta finisca per sopprimere se stesso nel raggiungimento della pace e per il disgusto difronte al sangue. Piuttosto, ciò che si verifica, è la circolarità chiusa del gioco delle dominazioni che dà luogo, e allo stesso tempo deve la sua nascita, all'emergenza di nuove forze.

Per chiarire: il filosofo francese non crede, almeno in questa rivisitazione di Nietzsche, a quanti sostengono che un giorno il disgusto per la guerra e per il sangue che essa sparge porterà alla scomparsa della violenza per far posto a trattative che garantiscano una pacifica reciprocità universale, piuttosto, si assisterà al permanere sempre delle stesse regole del gioco, degli stessi calcoli il cui fine è proprio il sangue che promettono di spargere.

Ciò che può variare è lo scopo, l’obiettivo che si prefiggono di conseguire e che varia a seconda di chi tiene le redini. Egli infatti osserva:

Il grande gioco della storia sta in chi s’impadronirà delle regole, in chi prenderà il posto di quelli che le utilizzano, in chi si travestirà per pervertirle, le utilizzerà a controsenso e le rivolgerà contro quelli che le avevano imposte; in chi, introducendosi nel complesso apparato lo farà funzionare in modo tale che i dominatori si troveranno dominati dalle loro stesse regole27.


Affinché il genealogista sia in grado di aderire il più possibile al suo istinto naturale, il wahr-sagen - alla lettera: dire il vero, verace- , deve interpretare la storia servendosi delle sue stesse regole, deve frugare con una curiosità tale da non lasciare niente nella penombra. Ogni elemento, ogni sfumatura in un mondo fatto di ruoli, di giochi e di forze è di una tale importanza da non poter essere trascurato in quanto proprio nel più piccolo dettaglio potrebbe celarsi la chiave di volta. Non si tratta di conoscere cosa è vero o cosa è falso, cosa è giusto e cosa sbagliato: il sapere non è fatto per comprendere, è fatto per prendere posizione28.

1

M. Foucault, Antologia. L’impazienza della libertà, cit., pp. 230; 232- 233.


2

 Cfr. H. Dreyfus e P. Rabinow, La Ricerca di M. Foucault, Ponte alle Grazie, Firenze 1989, p.128.


3

 S. Berni, Nietzsche e Foucault, corporeità e potere in una critica radicale della modernità, Giuffré Editore, Milano 2005, p. 127.


4

 M. Foucault, Nietzsche, la genealogia,la storia, in Il discorso, la storia, la verità, Einaudi, Torino 2001, p.43.


5

 Ibidem.


6

 Ivi, p. 57.


7

 Ivi, p. 61.


8

F. Nietzsche, Sull'utilità e il danno della storia per la vita, Adelphi, Milano 2007, p.21.

9

 Ivi, p. 55.


10

 Ibidem.


11

 Ivi, p. 43.


12

 F. Nietzsche, Aurora, cit., p.99.

13

 M. Foucault, Nietzsche, la genealogia, la storia, cit., p. 54.


14

 Ivi, p. 43.


15

 Ivi, p. 45.


16

 Ibidem.


17

 Nietzsche, Aurora, cit., af. 123.


18

 F. Nietzsche, Genealogia della morale, cit., p. 5.


19

 M. Foucault, Nietzsche, la genealogia, la storia, cit., p. 47.


20

 Ivi, p. 48.


21

 Ibidem.


22

 Nietzsche, Genealogia della morale, cit., pp. 125-126.


23

 M. Foucault, Nietzsche, la genealogia,la storia, cit., p. 50.


24

 Ibidem.


25

 Ivi, pp. 50-51.


26

 Nietzsche, Genealogia della morale, cit., p. 114.


27

 M. Foucault, Nietzsche, la genealogia, la storia, cit., p. 53.


28

 Ivi, p. 55.


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