La mia intervista ad Ambeta Toromani e Alessandro Macario pubblicata su Danzaeffebi

ph Francesco Squeglia

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Pochi giorni ancora e al Teatro San Carlo di Napoli andrà in scena, nella versione coreografica di Lyudmila Semeniaka, Giselle, capolavoro della storia del balletto ottocentesco, balletto che vedrà il ritorno dell’étoile Svetlana Zakharova nel ruolo della protagonista femminile in coppia con Ruslan Skvortsov nel ruolo di Albrecht.

Qualche giorno fa ho trascorso alcune ore con il Corpo di ballo del Lirico napoletano e con due dei sei solisti ospiti che ricopriranno i ruoli principali di questo attesissimo appuntamento: Anbeta Toromani e Alessandro Macario.

Mentre il resto della città godeva di una soleggiata domenica delle Palme, nella sala Gallizia le prove procedevano con la serietà e la concentrazione di sempre e, nel tempo in cui Luisa Ieluzzi, Annalina Nuzzo e Anna Chiara Amirante provavano e riprovavano la variazione delle Willi e quella di Myrtha con il maestro Lienz Chang, io intervistavo Anbeta e Alessandro nel salottino adiacente.

Dagli archivi del Teatro risulta che l’ultima rappresentazione della Giselle in versione classica risale al 2009. E’ quindi da ben sei lunghi anni che il capolavoro di Jean Coralli e Jules Perrot non allieta il pubblico napoletano. Eppure, data la maestosità delle scene e di tutto l’allestimento, soltanto il palcoscenico di una fondazione lirica può consentire che vengano riproposti i classici di repertorio nella loro interezza. Accade invece che, con la prospettiva di allinearsi ad un contesto più attuale, le fondazioni aprano sempre più spesso le porte ai coreografi contemporanei. A Napoli quest’anno i lavori di Francesco Nappa, Boris Eifman e Fabrizio Monteverde hanno riscosso grande successo e approvazione sia dal pubblico che dai critici. Resta un dubbio però: non credete che il pubblico si aspetti più rappresentazioni di balletto classico dal San Carlo?

ph. F.Squeglia
Macario: In realtà paragonando le rappresentazioni di classico a quelle di contemporaneo credo che facciamo poco di tutto. Il problema principale è numerico, nel senso che per mettere in scena un balletto di repertorio si ha bisogno di un corpo di ballo di almeno 60 elementi e qui, anche se gli elementi sono validissimi, siamo 40. Poi ovviamente ci sono gli aggiunti. Questo significa, non solo l’impossibilità a mettere in scena balletti come Il Lago dei Cigni, ma significa anche che abbiamo pochissimi sostituti e in caso di infortunio la situazione è davvero difficile. Al Teatro alla Scala ad esempio sono più di cento elementi e al Teatro dell’Opera risolvono prendendo tantissimi aggiunti. Anche qui si fa, ma una sola volta l’anno per una questione legata ai costi di mantenimento degli esterni. Anni fa si faceva molto più repertorio e ci si batteva per farne sempre di più: ricordo le battaglie della signora Terabust. Oggi, paradossalmente, pur avendo elementi validissimi e giovani siamo comunque di meno e a volte ci si ritrova a dover affrontare anche tre ruoli differenti nella stessa rappresentazione. A tutto questo si aggiunge il problema della riduzione dei tempi di prova.

A volte il pregiudizio fa sì che il balletto di repertorio sia considerato anacronistico e lontano dalle generazioni presenti. In Giselle, forse più che in altri lavori romantici, la trama, aldilà delle caratterizzazioni tipiche di quell’epoca, può essere considerata attualissima. Il racconto presenta una profonda spaccatura tra due mondi che non trovano nessun altro punto d’incontro se non l’amore: il mondo dei contadini caratterizzato dal lavoro, dal sacrificio quotidiano, dalla semplicità delle abitudini campestri e il mondo dell’aristocrazia di cui sono invece tipici l’attenzione alla forma, all’apparire e la tendenza ad un approccio più superficiale alla vita. Oggi queste due dimensioni ottocentesche prive di una dialettica della comunicazione potrebbero essere accostate rispettivamente alla realtà scarna e pregna di difficoltà insormontabili tipiche del lavoratore del ceto medio-basso e alla classe dirigente imprenditoriale o addirittura politica. Quanto riuscite voi interpreti ad avvertire questa contemporaneità di Giselle che va oltre ogni aspettativa?

Macario: Sì, certo, la trama del balletto è fortemente attuale: basti pensare all’arroganza di Albrecht e alla sua superficialità, al suo non essere in grado di riconoscere l’amore se non quando è troppo tardi. In questo, come pure in altri balletti romantici, si riconoscono elementi di contemporaneità: in Giselle sicuramente è il messaggio nascosto nella trama, mentre nel Lago dei Cigni al contrario la trama è fiabesca ma il gesto, richiamando l’essere animale del cigno, esplora una vasta gamma di movimenti estremamente all’avanguardia per quell’epoca e dunque ancora oggi si può apprezzare un movimento delle braccia assolutamente non limitato alla danza classica codificata. Il balletto è tutt’altro che inattuale.

Grande difficoltà per l’interprete che si avvicina allo studio di Giselle è la mimica. In questo balletto tutto il primo atto è incentrato sulla capacità espressiva dei protagonisti. Una buona performance mimica può senza dubbio conferire valore aggiunto ai danzatori, ma una performance deludente sotto l ‘aspetto espressivo stroncherebbe anche la migliore delle esecuzioni tecniche. Com’è il vostro approccio allo studio della mimica?

Anbeta: Certo, è assolutamente così, ma non credo bisogni vivere con ansia questo tipo di prestazione. Se si è una persona sincera e vera nella vita lo si è anche sul palcoscenico e non c’è bisogno di fingere o forzare o provare ad essere un’altra persona. Certo, devo essere Giselle, ma devo esserlo in maniera sincera così come sono Anbeta nella vita. Oggi, rispetto al balletto di una volta, la mimica è sicuramente più naturale, non voglio dire raffinata perché se penso alla più grande Giselle della storia sicuramente riguarda tempi passati… e mi riferisco ad un’italiana, alla Giselle per eccellenza, ossia a Carla Fracci. Certo se pensiamo ad alcuni aspetti tecnici, confrontati con le linee di oggi e con il virtuosismo di oggi, sicuramente potremmo non esserne granché colpiti, ma l’espressione, la mimica, la naturalezza con cui faceva Giselle l’hanno resa unica. Ho studiato tanto questo ruolo e posso dire che Carla Fracci è senza dubbio l’interprete che mi sarebbe piaciuto vedere dal vivo in questo ruolo: lei è veramente speciale senza sforzo.
Questo studio dell’aspetto mimico è svolto in sala col maestro oppure c’è un approccio personale e intimo?

Macario: la mimica va studiata col maestro, assolutamente. Purtroppo mi rendo sempre più conto di come sia un aspetto trascurato e trovare maestri che lavorino con i propri allievi anche l’aspetto interpretativo e gestuale è molto raro. Io ho avuto la fortuna di studiare l’aspetto mimico qui alla Scuola del San Carlo. Ci è sempre stato spiegato che per quanto ci si debba sforzare di essere naturali bisogna avere i mezzi per esprimersi e conoscere profondamente “il gesto” che deve essere sempre realistico e mai finto. C’è un codice gestuale da rispettare, ma la soglia che separa il naturale dal ridicolo è molto sottile.

Il pubblico si aspetta molto da questo ritorno di Giselle al San Carlo. Avete paure particolari riguardo ai vostri ruoli pur essendo ad un punto così alto della vostra carriera?

Anbeta: Sempre paura.

Macario: la paura c’è sempre, è inevitabile. C’è anche chi si butta, ma io non sono così. Certo l’esperienza serve a trasformare le paure in energia altrimenti entri in scena, ti tremano le gambe e non fai più niente. Con l’età, con l’esperienza e con l’andare in giro si acquisisce sicurezza. Ecco perché credo che tutti dovrebbero uscire dai muri del proprio teatro e girare il mondo, altrimenti non si raggiungono certe sensazioni. E comunque anche questo è il bello di quest’arte, altrimenti si rischia di fare solo ginnastica: quando sali sul palco e senti il pubblico passa tutto e a quel punto puoi anche sbagliare, ma hai dato il massimo.

Questo periodo così difficile per il San Carlo quanto influenza il vostro lavoro? Riuscite a tenervi lontani dalle bufere quando siete in sala a lavorare?

Macario: C’è una grande rabbia, perché potremmo essere tra i primi teatri al mondo per il potenziale che abbiamo. Quando leggo che dalle classifiche risulta che questo è il teatro più bello del mondo sinceramente non me ne stupisco, è una cosa che sappiamo già, piuttosto vorrei che fossimo i primi al mondo per rappresentazioni. Bisogna pensare più al futuro, bisogna pensare di più a creare per un domani e non solo per cavarsela oggi.

Anbeta: Bisogna pensare a costruire e a dare il tempo di costruire. Un corpo di ballo, un solista, un primo ballerino hanno bisogno di tempo per crescere e non possono essere portati in scena senza un lavoro approfondito e lungo. La grandezza dei ragazzi di questo corpo di ballo, che ormai ho imparato a conoscere stando qui da due anni, sta nel fatto che anche quando tutto sembra crollare loro hanno una sicurezza, una forza e una carica quando sono in scena, da creare l’illusione che vada tutto bene. Forse è la forza dei napoletani: riuscire a riemergere e ad affermarsi nella società anche nei periodi più difficili. C’è bisogno però di più costanza e continuità: questi ragazzi devono essere messi nella condizione di poter essere sempre sereni e di avere sempre l’energia che hanno in scena.

Macario: Per arrivare a questo c’è bisogno di più spettacoli. C’è bisogno di più balletti altrimenti c’è la guerra per emergere e non c’è spazio per tutti.

Anbeta: Non mancano i talenti, qui ci sono tanti elementi ottimi, ma hanno bisogno di tempo per prepararsi e di più spettacoli.

In sala prove chi vi guida per la preparazione di questo spettacolo? 

Anbeta: Oltre a Lyudmila Semeniaka che cura la coreografia e alla sua assistente c’è il maestro Lienz in sala con noi. Stanno lavorando insieme e bene.

Non ci resta che aspettare e godere del ritorno di Giselle sul palcoscenico napoletano.

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