Ho visto Nomen Omen di Andrea Arionte e Simona Perrella e questa è la mia recensione su Campadidanza

Un piccolo teatro con due mesi di vita, un piccolo vicolo nei pressi di piazza Dante. Una stradina buia e defilata, un passo più in là dal rumore e dalla gente. Un posto quasi segreto, prezioso, che aspetta di riempire la sua piccola saletta sotterranea per poi accendere le luci calde del primo piazzato scelto dal regista. Andrea Arionte è alla sua prima creazione insieme a Simona Perrella: giovani, fluidi, trasudanti passione. La coreografia, lunga circa 50 minuti, racconta del corpo e dei suoi desideri, che poi ne sono anche il limite, oltre i quali cerca di spingersi; descrive la mente di uomo geniale che ha piegato il Rinascimento facendolo aderire ai suoi progetti visionari, che lo ha reso ingranaggio, macchina, disegno, progetto. La scena è divisa tra i due elementi principali, Simona e Andrea, e altri quattro elementi del corpo di ballo che, di volta in volta incorniciano con una gestualità rituale il lavoro dominante.

Pur trovando il lavoro coreografico Nomen Omen già efficace così com’è stato presentato posso senza ombra di dubbio affermare che sarebbe stato ancor più d’impatto se i due protagonisti avessero donato soltanto se stessi e se, in un atto di egoismo, avessero deciso di essere soli sulla scena di fronte al loro pubblico. Tanto giovani e tanto efficaci, già forti di una drammaticità prorompente riempivano gli spazi vuoti con volumi dinamici ed interpretazione lieve, ma intensa. Nessuna carica emotiva ha varcato la soglia dell’eccesso, nessun tempo d’attesa ha superato il tempo del giusto: se questo è l’inizio creativo ed interpretativo negli anni a venire quei nomi giovani diventeranno certezze.

La presenza scenica non sa mentire e se pure il lavoro racchiude in sé una scia d’incertezza o un lieve accenno di paura, se pure gli occhi cercano il compagno sulla scena per rendere un sincrono perfetto, il corpo nel suo seguitare a dire la verità danzando mostra il talento, il desiderio, il sentire. E due artisti che così giovani sono già in grado di sentire e di sentirsi mentre sono sulla scena non possono che mantenere la loro promessa: varcare ogni volta il limite per realizzarsi come opera d’arte.

Non andate a teatro solo per vedere i grandi che sono già grandi (o meglio quelli andateli a vedere  per forza), ma andate a teatro a vedere di più e di più e di più e solo allora potrete cominciare a capire come girano le cose. I giovani ragazzi della mia età sono il presente che si proietta nel futuro. GUARDIAMOLI.

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