Intervista a Noa Wertheim (Campadidanza magazine)

Noa Wertheim è una delle più conosciute e apprezzate coreografe del momento, dirige la Vertigo Dance Company, di cui è fondatrice, da più di 20 anni. Insieme ai suoi danzatori vive nell’ Eco Art Village in Israele dove trascorre la su vita nel pieno rispetto della natura e dell’umanità. Indaga l’animo umano e i sentimenti opposti che lo abitano.
Quast’anno ha inaugurato il Napoli Teatro Festival Italia portando in prima mondiale il suo ultimo lavoro Reshimo di cui ci parla nell’intervista che segue.
Noa cosa pensi d Napoli?
Amo molto Napoli, qui mi sento a casa, conosco i nomi delle strade e così tanta gente. Quest’anno c’è stato anche l’incontro in teatro ed è stato meraviglioso. Amo il cibo, il clima, l’architettura, tutto; è un posto davvero speciale perché sento che da una parte è un luogo molto europeo e dall’altra la gente è cordiale e vera.
Siamo molto simili non credi?
In un certo senso sì. Siamo entrambi cordiali e mediterranei, ma voi siete un po’ più europei ed è curioso vedere come i due aspetti viaggino insieme, è tutto molto speciale. Sento che qui qualcosa sta accadendo rispetto alla scorsa volta. Sento che qualcosa sta accadendo, ma non so cos’è. Spero che si stia muovendo qualcosa con l’arte e con gli artisti, con i festival. Infondo gli artisti sono ovunque e ovunque c’è gente che ha voglia di creare, ma spesso non ci sono i soldi per farlo. E’ meraviglioso vedere Luca De Fusco che organizza tutto questo, che invita tante persone e che crea tanto lavoro.
Venendo al tuo ultimo lavoro Reshimo, e collegandoci anche alle tematiche che hai affrontato con i danzatori durante la masterclass che hai tenuto a Napoli, qual è il senso che dai alla parola eco così ricorrente nei tuoi discorsi sulla danza? 
L’eco è qualcosa che ti lasci dietro, l’essenza della parola Reshimo, la sua stessa radice etimologica, esprime il significato del ricordo, come per una persona che non c’è più. Ciò che realmente riesci a ricordare è un’eco, è qualcosa che esiste, ma che non è più fisicamente vivo.
Nella parola Reshimo c’è contemporaneamente il concetto di pianificare il futuro, ma anche il ricordo di qualcosa che non esiste più. Futuro e progetto di qualcosa che farai, di un’azione che sta per accadere. E’ sempre bello vedere quando questo accade nella creazione coreografica, perché è sempre improvvisazione e a volte viene fuori qualcosa di bello, a volte no e questo gioco tra il futuro che arriva e la complessità dell’umano, la connessione tra le relazioni. Tutto questo è in Reshimo.
Futuro e passato. E il presente?
Il presente non esiste. Per la prima volta in una mia creazione non ho sentito l’esigenza di una catarsi e qualcuno, avendolo notato, me lo ha chiesto: “Dov’è la catarsi di Noa?”. Diversamente da tutti i miei lavori precedenti in cui c’era sul finale una forza esplosiva interpretabile come una catarsi, in Reshimo tutto questo non c’è. Non l’ho voluto, perché Reshimo è un movimento e uno stato d’animo infinito.
Reshimo è poetico e triste allo stesso tempo e poi non esplode mai in una catarsi.
Nei momenti di gruppo ho notato che c’era sempre un elemento che disturbava l’armonia generale. Perché questa diversità nell’unità?
Perché dentro di noi abbiamo tanto l’armonia quanto la disarmonia, abbiamo in noi stessi il bene e il male, siamo qualche volta arrabbiati, altre volte felici, altre ancora gelosi. Siamo aperti verso l’altro, ma anche completamente chiusi.
Perché la scelta di trattare il tema dell’estetica e del materialismo? Hai anche utilizzato la canzone “Brazil” paese per antonomasia della cura eccessiva di tutto ciò che è bellezza esteriore.
Nell’uomo c’è qualcosa di molto materiale, ma molto vivo. La prospettiva riguardo a ciò non è una critica, anzi è la costatazione che anche essere super materialisti può essere positivo se fa stare bene. L’uomo è sì spirito, ma è anche materia.
Prima della performance c’è stata una dura protesta contro Israele al grido “Israele danza su terra rubata”. Vuoi dire qualcosa in proposito?
Devo dire che apprezzo sempre quando qualcuno esprime ciò che pensa, ma mi fa molto male e tristezza il fatto che la gente non sappia realmente cosa stia accadendo nel mio paese. Mi farebbe piacere che la gente venisse a farci visita per vedere cosa è Israele. Posso solo dire che nel nostro villaggio io lavoro con tutti gli strati sociali: ebrei, musulmani, cristiani, disabili perché l’essere umano in quanto tale è la mia priorità. Vertigo Eco Village è un posto in cui lavorare con l’essere umano, quest’anno ho fatto un progetto di lavoro con gli arabi israeliani per insegnare e diffondere uno stile di vita ecocompatibile e loro sono venuti e abbiamo danzato insieme. E’ stato meraviglioso. Nessuno però sa di queste cose e di questi scambi perché nei notiziari si vedono solo i problemi. Il nostro è un paese moderno e bellissimo e restereste increduli venendo. Se veniste a Tel Aviv in Israele non credereste ai vostri occhi.  Sì, noi abbiamo problemi, ma chi non ne ha! Si potrebbe però anche parlare dei miei problemi come ebrea: sono stata cacciata dall’Europa insieme ai miei genitori e metà della mia famiglia è stata sterminata. Nessuno sa realmente come vanno le cose da noi, dobbiamo pur avere una terra in cui vivere, no? E dopo la II guerra mondiale siamo qui. Abbiamo un paese meraviglioso e noi in quanto artisti facciamo il possibile affinché si riesca a comunicare con i nostri vicini. E’ fondamentale che ci sia dialogo con i palestinesi e mi auguro che questo si avveri con la mia generazione. Lo spero.
 Manuela Barbato e Simona Perrella

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