Nureyev, l'aquila sul tetto del mondo
Fonte : http://www.campadidanza.it/nureyev-laquila-sul-tetto-del-mondo/
La metafora del viaggio è quanto di più straordinario si possa comprendere nella vita: tra un momento di stasi e l’altro posti ai due estremi dell’esistenza è nel mezzo che si ritrova un incessante fluire di meraviglie e sorprese. Sofferenza e dolore, godimento ed euforia si alternano in vortici incontrollabili che rendono l’esperienza di ognuno una poesia intima e irripetibile.
Agli antipodi di una vita fastosa e comoda, lontano da un’adolescenza ingenua e disinvolta Nureyev comprendeva già da ragazzino il valore straordinario dell’esperienza fine a se stessa e scivolava via da mete e traguardi tanto sterili quanto omologanti. In effetti sognare di diventare una stella e desiderare di brillare più di chiunque altro sulla scena del mondo poteva essere considerato lo scopo comune a chiunque si dedicasse all’arte del balletto: il successo, la fama, gli applausi scroscianti, il costume più bello. Andare oltre la superficie luccicosa dell’istante senza limitarsi a tastare il dorso delle cose e pretendere da se stessi di godere di ogni attimo considerandolo l’ultimo privilegio era ciò che invece nutriva l’instancabile devozione del giovane Rudolf che altalenava tra doveri e fatiche di una famiglia segnata dalla più miserabile povertà.
Rudolf Nureyev |
La metafora del viaggio, nella sua rara coincidenza della dimensione mentale con quella corporea, fa sì che la bellezza sia percepita ad ogni istante e mai relegata soltanto alla fine di un percorso che trascorre tra indifferenza e distrazione. La danza è il viaggio più bello, che sia accademica e codificata o spontanea e istintiva è quanto di più primordiale e ancestrale sopravviva oggi. Danzare riconduce ad uno stato quasi ipnotico e talvolta confusionale riportando il corpo ad una libertà perduta in cui è concesso esprimere tutto quanto è quotidianamente costretto dentro: Nureyev danzava e danzando avvertiva il corpo che cambiava tra tremori ed energie sempre nuove che incalzavano e non si assopivano mai. Non una meta, non uno scopo, non un fine ultimo, ma occasioni e musiche e scene aperte di cui godere in maniera incontrollata e pur sempre consapevole.
Il pubblico si accorge di un talento tutto nuovo che divora la scena mondiale in un connubio perfetto di sfarzo e semplicità, di regalità sulla scena e umiltà dietro le quinte, di rettitudine in sala prove e sregolatezza nella vita: il giovane ballerino russo gode appieno della vita che da solo si è costruito con devozione e tenacia senza mai mettere a fuoco un ambito traguardo, ma scrutando intorno a sé ogni dettaglio e piccolo particolare da cui trarre ispirazione e beneficio.
Mai vittima e mai succube di un pubblico sempre più esigente, Nureyev non cede al meccanismo perverso dell’eterno debito verso coloro che consacrano un mito, a questo proposito dichiara in un’intervista del ’78 di essere sempre avanti, in una solitudine creativa che indaga il nuovo e che lascia al pubblico la libertà di scegliere se seguirlo oppure no in innovazioni ed esperienze pionieristiche.
La scoperta e il rischio hanno sempre caratterizzato la sua danza e la sua esperienza sia interpretativa che creativa laddove egli dichiara che è sempre bello provarci e poi magari fallire. Un viaggio meraviglioso in cui la solitudine di chi ha dentro una tradizione culturale nichilistica acuisce in maniera sovrumana una sensibilità rara e irripetibile come un’aquila che vola al di sopra di tutto e di tutti e che percepisce sotto la pelle la bellezza del mondo e la traduce in un linguaggio universalmente condiviso: la danza.